venerdì 10 luglio 2009

Intervista a Marone, neo assessore regionale al Turismo

Pubblichiamo l'intervista di Simona Brandolini (Corriere del Mezzogiorno) al neo assessore regionale al turismo Riccardo Marone.

Assessore Marone, tanto per orientarci un po’, chi sosterrà al congresso nazionale del Pd?
«Avrei preferito che in campo ci fossero forze più nuove: penso che i quarantenni dovrebbero finalmente svegliarsi e non aspettare che qualcuno li convochi, ma avere più coraggio, perdere se necessario. Detto questo, la linea di Franceschini mi sembra di continuità rispetto a quella di Veltroni, che io non ho condiviso».
No, non serbo rancore. Ho pagato il prezzo di essere considerato a Roma troppo bassoliniano, a Napoli troppo poco. Il problema è che il segretario regionale Iannuzzi, che avrebbe dovuto portare avanti la mia candidatura, non mi ha ancora spiegato perché non lo fece».
Cosa pensa del Pd regionale?
«Perché esiste?»
Se lo dice lei che è tra i fondatori.
«Non è solo una questione locale. Si è deciso di non fare il partito e imitare la costruzione del partito berlusconiano, il cosiddetto partito liquido. Addirittura al posto delle sezioni ci sono i circoli. Resto convinto che il Pd sia un’ottima idea di prospettiva, ma che finalmente si costruisca e mi auguro che non si facciano scelte sciagurate di scissione. Dunque spero che si rispettino i risultati congressuali e chi perderà resti nel partito e continui a lavorare conservando la legittima aspirazione di essere maggioranza».
Ma chi sosterrà?
Tra i nomi in campo, considero Bersani in grado di costruire il partito e svolgere bene il ruolo di segretario».
Sa cosa ha detto Bersani di Bassolino e della Campania? Che serve una fase nuova, una nuova classe dirigente nel partito e nelle istituzioni.
«Ognuno dovrebbe guardare ai propri ricambi di classe dirigente e non parlare degli altri».
Le parole di Bersani tradiscono un’insofferenza ormai acclarata nei confronti di Bassolino e del bassolinismo. Insofferenza che nasce dopo l’emergenza rifiuti?
«No. Credo che sia il frutto di un’assenza di analisi politica. Finora non c’è mai stato un ragionamento serio sulla Campania, sull’esperienza di Bassolino al Comune e poi in Regione » .
Quest’analisi la farà la costituenda fondazione bassoliniana Sudd?
«Non ho mai partecipato alle riunioni di Sudd, mi auguro sia una sede di approfondimento politico anche se continuo a pensare che gli approfondimenti li si debba fare nelle sedi di partito».
Anche il Pd regionale si appresta al congresso. Si risolverà nella solita guerra tra bassoliniani e antibassoliniani?
«Mi auguro proprio di no. Spero ci sia un confronto serio sul Mezzogiorno e su quindici anni complessi ma positivi pur nelle ombre. Inoltre se continuiamo a ragionare in termini di antibassolinismo commettiamo lo stesso errore che commette il centrosinistra con l’antiberlusconismo. Perdente».
Ma cos’è il bassolinismo?
«È un errore personalizzare e pensare ad un concetto granitico. Bassolino ha vissuto tante fasi. Ha governato in un territorio non di sinistra, con forze disomogenee, cercando la sintesi. E questa regione ha premiato quell’idea, con tutti i limiti e le conseguenze che questo comporta».
Perché è tornato al fianco di Bassolino come nel ’93, questa volta da assessore regionale all’Industria e al Turismo?«Perché, sotto il profilo personale, è difficile dire no a Bassolino per l’affetto che mi lega a lui. Sotto il profilo politico perché penso che in quest’ultimo anno ci siano tutte le condizioni per vincere un’altra volta».
strong>Ma da cosa dipende tanta sicurezza?
«Da una complessiva debolezza del centrodestra sui territori, dal lavoro fatto in questi anni e dal fatto che si è finalmente usciti da un lungo periodo di crisi. Oggi la Regione ha una giunta di altissimo livello, molto professionale, sono tutti molto motivati».
Ci sono voluti dieci anni di prove generali per arrivare a questo risultato?
«Questo è il grande paradosso. Il tema politico di fondo è restringere il quadro politico, garantire coesione e capacità di intervento. Ma per governare occorre raggiungere il 51 per cento. Tutti dimenticano che la famosa grande stagione di Napoli era frutto di una coalizione di tre soli partiti molto omogenei e sostanzialmente con obiettivi simili: Pds, Rifondazione comunista e Verdi, i popolari erano addirittura all’opposizione. Il tema di questi mesi quindi è come e quali forze politiche coinvolgere perché non si perda l’attuale, finalmente raggiunto, stato di coesione e vincere le elezioni».
Alleanze dunque, quali?
«Direi che l’idea assurda di Veltroni di poter vincere le elezioni da soli è stata sconfitta con gravi conseguenze per tutti. Abbiamo sfasciato il quadro nazionale e mi sorprendo che qualcuno si sia meravigliato che abbiamo perso le amministrative. D’altra parte però ci dobbiamo ancora riprendere da un’esperienza devastante quale è stata la con-flittualità del governo Prodi».
Dunque chi sono i soggetti oggi in grado di vincere e governare?
«In questi mesi bisogna lavorare per recuperare una serie di rapporti fortemente lacerati, da Rifondazione a Di Pietro, alle forze di centro. Tutti soggetti indispensabili se si vuole competere. Del resto il risultato della Provincia dimostra che l’autosufficienza non paga. Questo però non deve significare imbarcare tutti acriticamente come ha fatto Cesaro che è già in crisi avendo costruito una coalizione di 14 partiti».
Ma lei ha parlato di Rifondazione, Di Pietro, i moderati, la Sinistra, non è la stessa marmellata di Prodi?
«No, perché sono convinto che quelle forze hanno imparato la lezione, del resto alcune sono addirittura scomparse e dunque hanno lo stesso problema di ricostruirsi un futuro politico. Sarebbe assurdo non dialogare con quasi il 15 per cento dell’elettorato. È ovvio che il rapporto più complesso è quello col centro, che nell’esperienza di questi anni in Regione ha portato minore coesione. Ma senza di loro non si vince».
Qualcuno dice che dietro il litigio tra l’Udc e Cesaro ci sia un inciucio tra De Mita e Bassolino.
«Non credo proprio. Penso solo che De Mita stia dall’altra parte per rabbia nei confronti di Veltroni. Ma la collocazione di De Mita a destra contrasta con la sua storia. Ha sbagliato, subire un torto non giustifica uno spostamento politico così innaturale. Detto questo in politica i nodi ven¬gono sempre al pettine e oggi le cose nel centrodestra non funzionano » .
Ma De Mita non era la palla al piede del primo governo Bassolino?
«La difficoltà dei rapporti tra De Mita e Bassolino o forse meglio la difficoltà dei rapporti tra due aree politiche molto diverse per storia è il nodo politico che bisogna affrontare. Mi auguro che il rapporto con il centro sia uno dei temi di fondo del prossimo congresso, lo deve essere certamente nella nostra regione».
Regionali. Chi è il successore di Bassolino?
«Dipende dalle alleanze e non lo dico con le solite formule di rito».
Il sindaco salernitano De Luca o l’assessore Cascetta?
«Nessun gioco della torre. È legittimo che entrambi abbiano aspirazioni per il lavoro che hanno svolto, che poi ci siano le condizioni politiche è un altro discorso».
E che pensa dei tecnici, della cosiddetta società civile?
«Non credo né ai tecnici puri né alla politica a tempo pieno. Credo in chi è bravo e fa politica. Io nella società civile non ho mai creduto. L’etichetta non è un
marchio di qualità».
Il suo predecessore Velardi lo scorso anno lanciò l’idea di una lista civica, bipartisan, per il Comune di Na¬poli. È d’accordo?
«La forza di un governo è data dalla sua omogeneità che è l’antitesi dell’essere bipartisan. E poi sia ben chiaro io voglio sempre credere in qualcosa. Se alla politica togliamo quel minimo di ideale diventa un mestiere ed allora è più bello fare l’avvocato».
E se Bassolino scendesse di nuovo in campo come nel ’ 93?
«È sempre molto difficile tornare al passato. Nel senso che siccome si va avanti non è possibile riprodurre le esperienze ».

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